domenica 12 agosto 2007

Curitiba, altro che Terzo Mondo.

Pubblico un post scritto da Dario Fo, sul blog della moglie, Franca Rame. Parla di una città speciale, come dovrebbero essere le nostre città, almeno in un futuro, breve.... ma purtroppo credo, ma spero di no, solo utopistico.

Una delle città brasiliane più prosperose, organizzata e con qualità di vita migliore. Curitiba è esempio in tutto il mondo nelle soluzioni urbanistiche e vita ambientale. Eletta capitale americana della cultura nel 2003, in un'iniziativa promossa dall'organizzazione capitale americana della coltura, creata nel 1997 e diretta verso i membri dei paesi dell' OEA. Città di coltura eclettica e fortemente influenzata dalla immigrazione tedesca, polacca ucraina e italiana, da cui discende la maggior parte della popolazione di Curitiba. Questo fatto è percepito da chi arriva e nota l'architettura, la gastronomia e le abitudini locali. E’ conosciuta come la capitale ecologica del Brasile, Curitiba conserva vaste zone verdi ed abbraccia l'ecologia della forma ampia. Ambiente con fauna e flora ricca e differenziata. I prodotti principali sono il matè e il caffè.

Fondata nel 1654, Curitiba è la capitale dello stato del Paranà sin dal 1831. Abitanti: circa 2.500.000.



Curitiba non è una piccola comunità alternativa. E' una città di quasi 2 milioni e mezzo di abitanti. Si trova nel sud del Brasile. Non si tratta neanche di una storia nuova: va avanti da 30 anni. Nel 1971, in piena dittatura fascista, una serie di casualità portarono alla designazione di Jaime Lerner come sindaco della città. Lo avevano scelto perché era un inoffensivo esperto di architettura. Un trentatreenne che non si era mai impegnato politicamente e che sembrò l'ideale per mettere d'accordo le diverse fazioni al potere.

Jaime Lerner ci mise un po' ad organizzarsi, poi nel 1972 decise di creare la prima isola pedonale del mondo. Lerner sapeva di avere contro buona parte della città.

I commercianti erano terrorizzati dall'idea che i loro affari fossero danneggiati dal divieto di accesso al centro delle auto. E gli automobilisti odiavano l'idea di dover andare in centro a piedi. I maligni dicono che aveva paura che la sua iniziativa fosse bloccata da un esposto in tribunale. Resta il fatto che i lavori iniziarono proprio un venerdì, un'ora dopo la chiusura del tribunale. Un'orda di operai invasero il centro della città e iniziarono a sistemare lampioni e fioriere, ripavimentare le strade e scavare aiuole piantandoci alberi. Lavorarono ininterrottamente per 48 ore. Quando il primo contingente crollò stremato fu sostituito da un secondo battaglione di operai e andarono avanti così. Il lunedì mattina quando il tribunale riaprì i lavori erano finiti. Crediamo che nella storia del mondo nessuna opera pubblica fu mai realizzata altrettanto velocemente.
I cittadini di Curitiba se ne stavano a bocca aperta. Erano state piantate migliaia di piante fiorite. Una cosa mai vista. E la popolazione si mise a strappare tutti i fiori per portarseli a casa. Ma Lerner lo aveva previsto e già erano pronte squadre di giardinieri che sostituivano immediatamente le piante. Ci vollero un po' di giorni ma alla fine i cittadini smisero di rubare i fiori. I commercianti poi erano stupiti perché si accorsero che il centro cittadino trasformato in salotto eccitava le vendite. E quando il sabato successivo un corteo di auto dell'Automobil-club tentò di invadere l'isola pedonale si trovò nell'impossibilità di farlo perché migliaia di bambini stavano dipingendo grandi strisce di carta che coprivano buona parte della pavimentazione. Da allora tutti i sabati i bambini della città si ritrovano nell'isola pedonale a coprire di disegni meravigliosi enormi rotoli di carta stesa per terra.


La seconda operazione di Lerner fu quella di creare un sistema di trasporti rivoluzionario con strade principali riservate agli autobus e particolari rampe coperte (da tubi trasparenti) che portavano il marciapiede sullo stesso piano dei mezzi pubblici, permettendo ai passeggeri di salire sull'autobus senza fare scalini e quindi più rapidamente. Queste rampe davano la possibilità di accedere ai trasporti pubblici anche a chi era su una carrozzina a rotelle. Particolare attenzione fu data ai collegamenti con i quartieri poveri della città, furono acquistati autobus composti da tre vagoni, con porte più grandi che si aprivano in corrispondenza delle porte scorrevoli delle rampe coperte. Per tagliare i costi e i tempi furono anche aboliti i bigliettai e si decise di fidarsi del fatto che se i trasporti funzionavano veramente i cittadini pagano volentieri il biglietto. Grazie a queste innovazioni i tempi di percorrenza degli autobus di Curitiba sono 3 volte più veloci e trasportano in un'ora 3 volte il numero dei passeggeri, con un rapporto tra il denaro investito e i passeggeri trasportati superiore del 69%. Praticamente avevano creato una straordinaria metropolitana a cielo aperto.
Le autovie di Curitiba trasportano 20 mila passeggeri all'ora (più di quanti viaggino sui mezzi pubblici di New Jork). Gli autobus percorrono ogni giorno una distanza pari a 9 volte il giro del mondo. Rio de Janeiro ha una metropolitana che trasporta un quarto di passeggeri e costa 200 volte di più.
Grazie a questa gestione oculatissima dei costi le linee di trasporto si autofinanziano con il solo costo dei biglietti (circa mille lire), ammortizzano i costi di un parco mezzi costato 45 milioni di dollari, offrono utili alle 10 imprese che hanno in appalto il servizio e remunerano il capitale investito con un tasso di profitto del 12% annuo. L'autorizzazione rilasciata ai gestori del servizio è revocabile all'istante. Le banche, restie a collaborare con altre amministrazioni locali, sono ben disponibili a prestare denaro al comune di Curitiba.
I trasporti sono talmente efficienti che nel 1991 un quarto degli automobilisti della città aveva rinunciato a possedere un'auto e che il 28% dei passeggeri pur possedendo un'auto preferiva non usarla. E questo nonostante il traffico sia molto scorrevole e gli ingorghi sconosciuti.
A questo rifiuto di massa dell'auto contribuiscono anche 160 chilometri di piste ciclabili. Iniziare la riforma della città dai trasporti per Lerner era fondamentale perché egli teorizza che nulla influenza più rapidamente la coscienza dei cittadini quanto l'efficienza dei mezzi pubblici.

Ma la riforma non si è fermata ai trasporti. Il problema delle baraccopoli e della miseria è stato affrontato trovando sistemi semplici in grado di offrire effetti positivi immediati e un cambiamento radicale della cultura a lungo termine. E' la fantasia delle soluzioni quello che stupisce di più. Sembrano pazze ma contengono un'efficienza enorme.
Ci sono servizi di distribuzione quotidiana di pasti gratuiti. Sono state costruite 14 mila case popolari. Ma si è agito anche distribuendo piccoli pezzi di terra per orti e per costruire case. I materiali di costruzione vengono acquistati con un finanziamento comunale a lungo termine ripagato con rate mensili pari al costo di due pacchetti di sigarette. Ogni nuova casa riceve poi in regalo dal comune un albero da frutta e uno ornamentale. Il comune offre anche un'ora di consulenza di un architetto che aiuta le famiglie a costruirsi case più confortevoli ed armoniose. I quartieri poveri di Curitiba sono i più belli del mondo.
Esiste un servizio di camioncini che girano per la città scambiando due chili di immondizia suddivisa con buoni acquisto che permettono di acquistare un chilogrammo di cibo (oppure quaderni, libri o biglietti per gli autobus). Così il 96% dell'immondizia della città viene raccolta e riciclata [I cestini per i rifiuti sono doppi: per l'organico e per l'inorganico, n.d.r.]. [Uno degli slogan che caratterizzano la città è "la spazzatura che non è spazzatura". Praticamente tutta la carta raccolta viene riciclata e, come spiega
orgogliosamente un cartello elettronico che campeggia in mezzo al parco, "50 chili di carta riciclata bastano a salvare un albero. Il riciclaggio della carta ha salvato finora 4'693'559 (il numero aumenta di secondo in secondo) alberi. n.d.r.]. Il che ha permesso di risparmiare milioni di dollari per costruire e gestire una discarica. Attraverso la pulizia della città e una migliore alimentazione della popolazione povera si è ottenuto un netto miglioramento della salute.
Il tasso di mortalità infantile è un terzo rispetto alla media nazionale. Ci sono 36 ospedali con 4500 posti letto, medicinali gratuiti e assistenza medica diffusa sul territorio. Ci sono 24 linee telefoniche a disposizione dei cittadini per informazioni di ogni tipo. Una di queste linee fornisce ai cittadini più poveri i prezzi correnti di 222 prodotti di base. In questo modo si garantisce ai consumatori di non cadere vittime di negozianti disonesti.
Ci sono anche 30 biblioteche di quartiere con 7000 volumi ciascuno. Si chiamano "Fari del sapere" e sono casette prefabbricate e dotate di un tubo a strisce bianche e rosse alto 15 metri. Sulla sommità della torre c'è una bolla di vetro dalla quale un poliziotto controlla che bambini e anziani possano andare in biblioteca indisturbati.
Ci sono 20 teatri, 74 musei e centri culturali e tutte le 120 scuole della città offrono corsi serali. Vengono organizzati corsi di formazione professionale per 10 mila persone all'anno. Gli abitanti di Curitiba sono collegati a un "Telefono della solidarietà" che permette di raccogliere elettrodomestici e mobili usati che vengono riparati dagli apprendisti artigiani e rivenduti a basso prezzo nei mercati o regalati.
Grazie al microcredito, una volta imparato un mestiere i giovani possono aprire un'attività in proprio. Vengono aiutati anche coloro che vogliono diventare commercianti ambulanti attraverso la concessione di autorizzazioni al commercio facilitate. Ed è proprio la logica con la quale si affrontano i problemi ad essere diversa. Ad esempio, le azioni di un gruppo di giovani teppisti che strappavano fiori all'orto botanico furono interpretate come una richiesta di aiuto e i ragazzi furono assunti come assistenti giardinieri. Un'altra grande iniziativa di Lerner è stata quella di creare decine di parchi dotati di laghetti e di piantare ovunque alberi. Curitiba è la città più verde del mondo (55 m2 per abitante, n.d.r.). Insomma un paradiso con il 96% di alfabetizzazione (nel 1996). Gli abitanti che hanno un titolo di studio superiore sono l'83%. La città ha un terzo in meno dei poveri del resto del Brasile e la vita media arriva a 72 anni, grossomodo quanto negli USA, ma con un reddito procapite che è solo il 27% di quello degli Stati Uniti. Insomma, per essere una città del Terzo Mondo non è male...
A questo punto però c'è da chiedersi come mai l'esperienza di Curitiba non sia conosciuta in Italia. Abbiamo fatto una ricerca e ci hanno detto che anni fa la rivista Nuova Ecologia pubblicò un lungo servizio su questo miracolo dell'onestà creativa e anche l'Espresso ne parlò. Allora come è successo che Curitiba non è diventata un esempio da imitare? Perché queste tecniche ingegnose ed entusiasmanti non sono diventate il cavallo di battaglia della nostra sinistra? Cosa hanno i nostri politici? Sono sprovvisti di senso pratico? Sono ammalati di serietà? Non sanno più sognare?

Tornatore the best, Parma idem...

Il cartellone dell'arena estiva del cinema Astra a Parma non è male quest'estate.

Ieri sera ho voluto testarlo insieme all'amica Denise.
Il film preso in visione è stato LA SCONOSCIUTA di Giuseppe Tornatore.
Quest'uomo è un genio, di una raffinatezza visiva e di contenuto unici. Consiglio il film. Già dalle prime scene ho cominciato a scendere in un abisso tormentato....ecco lo dico.... il film fa stare "da culo", proprio perchè è perfetto, reale, concreto, lineare.
Tornatore non sbaglia mai, nemmeno in un frangente di scena.

All'uscita dal cinema, ho passeggiato con Denise verso il centro di Parma, via Farini, fino a Piazza Garibaldi.... di sera è sempre stupenda Parma.... ma il bello di Parma è che è stupenda anche di giorno. Credo che sia l'unica città che abbia mai realmente apprezzato, imparato a vivere ed ad amare.
Consiglio, ulteriormente, la tagliata di frutta e gelato, ordinata da Denise, e la Gran Caffè Crème, ordinata da me, presso il Gran Caffè Orientale. Sedute ad un tavolo nella veranda esterna di questo bar di classe (ehm, io non avrei potuto fare diversamente.... :-O), proprio su una piazza illuminata e stranamente tranquilla (solo perchè è agosto), piazza Garibaldi, "il tutto" era talmente sereno, equilibrato e di gran agio che ci siamo alzate alle 2 dal tavolo, avendo semplicemente parlato, e sempre dello stesso argomento, e mangiucchiato\bevuto divinamente.
Una bella serata.

sabato 11 agosto 2007

The importance of the small things



Non posso non parlarvi delle "piccole cose".
L'ispirazione per questo post mi è stata data da Monia, una mia cara amica, indirettamente, stamane a colazione, al nostro solito bar "Lifferia" di Montecchio Emilia.
Stamattina ho preso solo un caffè macchiato, ho saltato il "futatsu tosto".... ma in compenso ho avuto, comunque, pane per i miei denti.

Settimane fa, durante una nostra passeggiata, Monia mi disse: "possiamo fermarci un attimo in edicola?!? Vorrei prendere Topolino..." non mi ricordo per chi fosse però il giornale... Una volta in edicola noto che in regalo con la rivista di fumetti c'è un pezzo di aereoplanino, l'aereoplanino di Paperinik. Scherzando (ma anche sul serio) le dissi: "che bello Mo, mi divertirei come una matta a montare un "coso" del genere". Per completare l'aereoplanino ci sono voluti parecchi numeri di Topolino, perchè ogni numero aveva in regalo un pezzo singolo.

Stamane Monia mi ha portato al bar tutti i pezzi, tenutimi da parte, per farmeli montare.... e per tenermi il gioiellino finito con Paperinik.
Queste sono piccole cose: piccoli pezzetti di plastica montabili, un aereoplanino composto, bello, molto.... che metterò su una mensolina.... ma il valore grande, non piccolo, di una persona, un'Amica, che ha pensato a cosa le avevo detto più di un mese fa... sorridendo... quasi scherzando. Ho provato una gioia immensa, per due motivi, stamane: 1. perchè conosco una persona come Monia; 2. perchè esistono persone di tal fatta. Ciò mi incoraggia sempre più a sostenere persone e cose di cuore puro e concreto.

I think they are great!

Giorni fa, leggendo il mio Vanity Fair, ho intravisto un trafiletto a pagina 172 del numero 31 che ha colto subito il mio occhio e, successivamente, la mia attenzione: "Sode, snelle, senza un filo di cellulite. Sandali in gamba."
E allora Alessandra cosa fa?!? Ricerca subito ulteriori informazioni sul web. Le notizie, informazioni, sono confortanti, a tal punto che non ci sto più dentro.
Li compro.
Ed eccoli, appena arrivati stamane dalla Gran Bretagna (ovviamente in Italia non sono ancora in commercio, arriviamo quando c'è la puzza.... cioè dopo che la scoreggina è già stata fatta da tutti gli altri).
Comodissime e soprattutto sono già andata in bagno 5 volte (urina) dalle 11 di stamattina. Ormai sono le 17....
The fitflop, il nome è tutto un programma. Grazie ad una suola ergonomica, al materiale e alla tecnologia della sua struttura fa allenare i muscoli delle gambe, drenarle, mentre cammini e fai il minimo movimento con questi "zocchy" ai piedi. Continuerò ad indossarli durante il giorno e vi darò feedback, vi terrò informati.
Questa volta io, però, sono arrivata prima della puzza.

venerdì 10 agosto 2007

a room with a view

"A room with a view" è il titolo di un romanzo scritto nel 1908 da Edward M. Forster.

Mi fu proposto durante gli (ormai lontani) anni del liceo, dal prof. Rossi, insegnante di lingua e letteratura inglese.

Vi riporto uno stralcio della recensione:

Lucy, in vacanza in Italia, a Firenze, viene travolta dalla bellezza e dalla vitalità del paese, così in contrasto con la pacatezza della "sua" Inghilterra. Qui inizia a vedere tutto con occhi nuovi e si fa travolgere dall'esuberanza di George, che sconvolgerà ogni fibra del suo essere e darà una svolta alla sua vita.



Mi è tornato in mente pochi giorni fa.
Al risveglio, infatti, ho capito che avevo trovato la mia camera con vista.

giovedì 9 agosto 2007

Cosa ci induce a comprare "gli oggetti"? Il loro bisogno?

Il valore d’uso[1] ed il valore di scambio[2] sembrano non essere più, oggi, il vero significato ed il vero “valore” degli oggetti che ci appartengono. Viviamo accerchiati da oggetti che fruiamo, possediamo, amiamo, ma non sempre scegliamo, o meglio, crediamo di scegliere ma inconsciamente “ci” vengono “fatti” scegliere.

Potrebbe essere reale la visione di Baudrillard che vede il consumatore sempre meno attivo, cosciente delle proprie scelte, e gli oggetti parte attiva della scelta, dell’acquisto e del possesso. Perché ciò avvenga l’oggetto deve essere in grado di sedurre la sua “preda”, colui che strumentalizzerà l’oggetto stesso all’interno del proprio linguaggio.

La seduzione si attua attraverso un meccanismo psicologico, cosciente o istintivo, tramite cui un soggetto tenta di attrarne a sé un altro, al fine di ottenere un beneficio tipicamente immateriale. Gli oggetti non sono seduttivi nel loro essere semplici “beni”, pur se anche beni di alto valore, immane bellezza; gli oggetti sono resi seduttivi da chi li genera, li produce e li introduce nel mercato della fascinazione. E per divulgare qualsiasi tipo di merce, oggetto, si deve comunicare la sua esistenza, facendo pubblicità ed attuando questa attraverso diversi media. Baudrillard sosteneva che si stesse attuando una vera e propria “orchestrazione dei messaggi”[3] e che questa causasse la percezione di una neo-realtà non veramente reale, in quanto intrisa di vero ma anche e soprattutto di falso, di distorto.

“La pubblicità è uno dei punti strategici di questo processo. È per eccellenza il regno dello pseudo-avvenimento. Essa fa dell’oggetto un avvenimento. Infatti lo costruisce come tale sulla base dell’eliminazione delle sue caratteristiche oggettive. Lo costruisce come modello, come fatto di cronaca spettacolare. La pubblicità moderna venne alla luce il giorno in cui l’annuncio pubblicitario non fu più un annuncio spontaneo, ma divenne una notizia fabbricata. […]

La pubblicità è una parola profetica nella misura in cui essa non invita a comprendere o ad apprendere, ma a sperare. Quel che essa dice non suppone una verità anteriore (quella del valore d’uso dell’oggetto), ma una conferma ulteriore mediante la realtà del segno profetico che emette. Là è la sua modalità efficace.”[4]

La comunicazione degli oggetti, di tutto ciò che li riguarda, è il mezzo con cui veniamo sedotti. I messaggi che vengono veicolati all’interno della pubblicità, attraverso le parole, immagini, suoni, percezioni indotte, sono ciò che il consumatore trasporta sull’oggetto e nell’oggetto: questo meccanismo induce e crea il significato stesso dell’oggetto. La lingua della merce viene creata attraverso e nella pubblicità.

Convinti e ammaliati dal significato dell’oggetto indotto dalla pubblicità, i consumatori traggono godimento nel collocare vicino alla propria persona, al proprio corpo, “pezzi” di seduzione, che reputano fonti di chiari messaggi personali, ma che personali non sono.

Il mondo della moda, degli accessori e di tutto ciò che si avvicina alla corporeità dell’essere umano, è ancor più sensuale e seducente. In questo settore, la seduzione diventa parte integrante dell’oggetto stesso, sia nel suo significato, sia negli atti di scelta-acquisto-possesso-fruizione. Ed è, probabilmente, proprio per questo che la moda è definita sogno, immaginario, quindi tutto ciò che non è realtà: perché la moda è puro messaggio, messaggio di fascinazione. Ed i messaggi non contengono istruzioni d’uso nella moda, ma “consigli di applicazione”.


[1] La capacità, che un bene od un servizio possono esprimere, di soddisfare un dato fabbisogno.

[2] Quel prezzo al quale è possibile che la domanda e l'offerta si incontrino perfezionando lo scambio; il valore di un bene o di un servizio è, cioè, il prezzo al quale è possibile che sia rispettivamente venduto ed acquistato, ovvero il punto d'incontro della domanda e dell'offerta.

[3] Baudrillard J., Il sogno della merce, Lupetti, Milano, 1987, cit. p.95.

[4] Tratto da: Baudrillard J., Il sogno della merce, Lupetti, Milano, 1987, cit. pp. 103-105.

lunedì 6 agosto 2007

Il gusto è distinzione e fenomeno che condiziona ancora il consumo?

Pierre Bourdieu sosteneva che il gusto rappresenta l’affermazione pratica di una differenza necessaria. Il gusto unisce e separa: unisce tutti coloro che sono in condizioni analoghe e prediligono le stesse cose, o simili, lo stesso “modo”; separa tutti gli altri distinguendoli. Il gusto è il principio di ciò che si ha e di ciò che si è per gli altri. Il gusto è distinzione, ma distinzione per scelta, in quanto lo stesso gusto è una scelta. Si sceglie di prediligere alcune cose piuttosto che altre, si sceglie di distinguersi da ciò che vogliamo non ci appartenga.

Anche il gusto in chiave sensoriale gode delle stesse proprietà descritte più “in astratto” da Bourdieu. Il gusto è una valida chiave di lettura del cibo e di tutto ciò che, oggi, “avviene” intorno\per mezzo di esso. Ed il cibo è una valida chiave di lettura di ciò che sono le identità dei consumatori, di tutti gli individui sociali, poiché tutti “mangiamo” e tutti esprimiamo le nostre “scelte\preferenze” attraverso ciò che introduciamo nel nostro corpo.

Il senso del gusto permette, ancora una volta, di differenziare, distinguere, mostrare ciò che può essere un tratto della personalità o, in maniera più definita, una parte della propria identità.

Anche a tavola ci si differenzia e lo si fa seguendo le diverse tendenze.

L'inquinamento sempre più aggressivo ed il bombardamento assillante dei media sulla (pessima) qualità della vita moderna, ci sta portando sempre di più a riscoprire il passato e, soprattutto, i cibi genuini e non sofisticati di un tempo. Ormai, in cucina, si fa sempre più uso di frutta e verdura biologica, così come si sceglie il pane impastato con farine biologiche e cotto nel vecchio forno a legna di una volta. Riscoprire i piatti, i sapori e gli ingredienti di un tempo, tutto ciò che era arte e conoscenza dei nostri nonni non è che soltanto una parte del fenomeno della “ri-scoperta” della genuinità. Preferire i cibi “non industrializzati” non è una semplice moda, ma è un voler aderire ad un sano “movimento” appartenente non solo ai semplici salutisti ma, anche, a coloro che intendono schierarsi dalla parte dei valori concreti di genuinità, tradizione e natura. Il boom dell’agricoltura biologica ne è una valida dimostrazione. Scegliere di utilizzare, acquistare, cibarsi di prodotti provenienti da un tipo di agricoltura che considera l'intero ecosistema agricolo, sfrutta la naturale fertilità del suolo favorendola con interventi limitati, promuove la biodiversità dell'ambiente in cui opera ed esclude l'utilizzo di prodotti di sintesi (salvo quelli specificatamente ammessi dal regolamento comunitario) e organismi geneticamente modificati, è scegliere di differenziarsi da ciò che viene reputato “di minor valore” e da coloro che vengono ritenuti “privi di principi salutisti-ambientalisti”. E’ voler appartenere al gruppo degli eco-sostenitori, sia per il proprio benessere psico-fisico (gli alimenti biologici sono ritenuti più integri di sostanze nutritive e meno nocivi in quanto privi di particelle chimiche) sia per la propria volontà di rendersi attivi col proprio contributo alla Natura e all’ambiente.

E’ stata definita “moda[1]”, successivamente “tendenza[2]” in quanto il fenomeno si è prima espanso a macchia d’olio dal suo paese di origine, il Giappone, all’America del Nord e all’Europa, e, successivamente, radicato nella cultura di destinazione, di approdo: il sushi. Questo piatto tipico giapponese, consistente in pezzetti di pesce crudo assortito e verdure inseriti in cilindretti di riso, è un chiaro ed immediato esempio di come il cibo riesca a divenire “d’attualità” e mantenga, ovunque ed in qualsiasi forma, una propria dimensione simbolica ed estetica. L’immagine del sushi non è soltanto quella visiva di pezzetti di pesce crudo adagiati su riso bianco: è quella, soprattutto, del mito del Giappone come nazione moderna e tecnologica. Essere trendy significa “stare al passo”, al passo coi tempi ed il nostro tempo è il post-moderno: dimensione iper-tecnologica e veloce, come veloci ed iper-tecnologici sono i giapponesi e la cultura[3] ed i prodotti che esportano. Mangiare sushi è sentirsi, essere, post-moderni, incarnare i valori di semplicità (ingredienti semplici e non elaborati: riso e pesce, talvolta alghe) ed allo stesso tempo di innovazione (i giapponesi sono i principali innovatori in campo tecnico-elettronico al mondo) tipici di una nazione che spesso è presa a modello: il Giappone. Il gusto “sensoriale”, il sapore del sushi è poco incline a coloro che sono abituati a sapori forti ed elaborati, come gli Europei e gli Americani. Il gusto “astratto e completo” del sushi è molto incline a chi è attuale ed innovatore, a coloro che associano a questo piatto tipico più un gusto sociale che naturale. Il sushi “trapiantato” al di fuori del Giappone non è più un semplice cibo dal solo sapore naturale, dei suoi ingredienti, ma è un simbolo di appartenenza al “mondo”, alla sua diversità, mutevolezza. Consumare il sushi è affermare di essere cosciente dei cambiamenti, e della loro velocità, e volerne prendere parte. Il sushi è diventato un “gusto socialmente determinato”: i simboli che racchiude nel suo consumo sono i motivi per cui i suoi fruitori vogliono cibarsene per differenziarsi.

Il concetto di gusto si è evoluto, raffinato, espanso anche a livello di papille gustative. Il cibo si è fatto carico di simboli, usanze, significati che spesso vanno al di là del semplice “mangiare” ciò che piace. Proprio per questo il gusto è ancor oggi, e forse ancor di più, forma di distinzione. E l’esigenza umana (psicologica e sociale) del distinguersi, del voler distinguersi, induce a consumare “differentemente”, secondo i gusti a cui si appartiene.



[1] Tendenza generale o atteggiamento predominante, che caratterizza un preciso momento storico e influenza il modo di vivere e di comportarsi; usanza più o meno passeggera che si impone nelle abitudini, nello stile di vita.

[2] Disposizione naturale, attitudine, inclinazione a comportarsi, a pensare, a sentire in un certo modo o a svolgere particolari attività; orientamento dell’evoluzione di un fenomeno; particolare orientamento culturale o ideologico.

[3] La cultura tradizionale, nazionale, del Giappone è di ispirazione scintoista, quindi, molto legata alla spiritualità ed alla natura. La cultura a cui si fa riferimento nel testo è quella legata al lavoro, allo sviluppo, alla produzione e stili di vita giapponesi.

venerdì 3 agosto 2007

French pedicure: la prima VERA volta non si scorda mai....

...peccato che sia la prima di una lunga serie.... Devo ammettere che delle opere della mia estetista di Fiducia (lettera maiuscola, notare...) non mi stupisco più... anche se.... è bene non smettere mai di stupirsi nella vita.... Mi ha consigliato un tatuaggino sul pollice... ottimo consiglio, mi danno quel non so che di sbarazzino... ovviamente ho scelto delle "farfalline" (alla vista delle cui immagini vado giù di testa....).
Mi sembrano al top ora i miei piedi. Di più per loro non potrei fare.

Quali forme assume oggi il consumo ostentativo?


Nella società post-moderna (la nostra) il consumo ostentativo è ancora sinonimo di beni di lusso. Non più prerogativa della sola classe agiata, oggi il lusso è il simbolo della differenziazione, di ciò che fa la differenza e di ciò che differenzia.

Negli ultimi decenni si è potuto assistere al fenomeno della “democratizzazione del lusso”, fenomeno ancora recente che ha reso "consumo straordinario di persone ordinarie" ciò che in passato era "consumo ordinario di persone straordinarie".

Cent’anni fa il XX secolo si apriva, nel mondo occidentale, all’insegna delle raffinate follie della belle époque. Era un lusso per gli happy few, cioè i pochi privilegiati dell’alta società. Oggi questo XXI secolo si apre su uno scenario radicalmente diverso: ora il lusso è alla portata di minoranze talmente corpose da divenire quasi indistinte dalla maggioranza. La produzione di oggetti di lusso, che allora era alto artigianato d’arte, rivolto esclusivamente alla realizzazione di pezzi unici a tiratura limitata, è adesso produzione in serie, capace di far fronte a milioni di ordini. Proprio questo aumento della produzione, ha posto le basi per uno sviluppo di una vera e propria industria del lusso, con le sue affinità e le sue differenze rispetto a quella dei beni di largo consumo.

La percezione di lusso è sicuramente molto soggettiva, e per questo darne una definizione assoluta diventa impossibile.

“E’ lusso ciò che colloca il soggetto in una schiera di happy few (non tutti se lo possono permettere), il cui esclusivo privilegio è tuttavia reso tale dal desiderio dei molti esclusi… Non si ha lusso dei pochi senza lo sguardo dei molti e senza una condivisione simbolica collettiva del bene di lusso[1].

Sicuramente potremmo affermare che il lusso è l’attenzione rivolta all’arte di vivere, un modo di vita che deriva dal piacere di tutti e cinque i sensi coordinati ad un sesto, quello psicologico, che fa appello al sogno. La capacità di far sognare deriva dalla creatività che permette all’oggetto di essere raro.

Gli studiosi individuano tra le caratteristiche fondamentali per essere considerato un bene di lusso l’esclusività, l’alta qualità, prezzo elevato, l’offerta in un punto vendita qualificato. E soprattutto deve vincere il brand, il marchio che si esprime attraverso un’immagine omogenea e si realizza con la comunicazione. Il consumatore deve convincersi che sta acquistando un bene di qualità superiore. In sostanza qualità, immagine e marchio di prestigio insieme ad una distribuzione selettiva servono all’azienda per dare al consumatore quel valore aggiunto che giustifichi un prezzo maggiore. Il consumatore, infatti, oggi è disposto a spendere , ma vuole essere sicuro di quello che acquista.

La democratizzazione del lusso è questo: voler e poter spendere molto, per il meglio, per il raro, per il desiderio e per un sogno ma farlo episodicamente.

Si affianca al lusso democratico, accessibile “a piccole dosi”, il lusso esclusivo, quello appartenente alla “post-moderna classe agiata”, che lo rende il proprio stile di vita, strutturale alla propria quotidianità, non episodicità di circostanze.

Si può affermare che il consumo lussuoso con valenza ostentativa oggi sia riscontrabile nel lusso esclusivo e non nel lusso “dei più”, quello democraticizzato dall’industria e dalla nuova borghesia.

La categoria merceologica più citata da un rilevante campione, quale principale identificativo del concetto di lusso, è il gioiello (59,3%), seguito da auto/moto (58,4%) e Alta Moda (53,5%)[2].

Secondo i ricercatori, è possibile distinguere tre universi del lusso: il lusso inaccessibile, il lusso intermedio, il lusso accessibile.

I prodotti facenti parte dell’universo del lusso inaccessibile sono fabbricati in modo artigianale e tradizionale integrando, all’unità o in serie molto corte, un certo grado di tecnologia per raggiungere la perfezione. Questi pezzi hanno valore come modelli e servono da riferimento simbolico. Le società si distinguono per la presenza di un creatore di una certa “fama”, intorno al quale sono fondate l’immagine e la notorietà della marca.

Il lusso intermedio raggruppa le prime linee dei creatori classici e include i modelli di quelli nuovi. Questi prodotti sono realizzati con materiali meno nobili e sono fabbricati in serie limitata. Il pret-à-porter, i profumi e gli accessori in pelle fanno parte, per esempio, del lusso intermedio.

I prodotti appartenenti alla categoria del lusso accessibile sono prodotti contemporanei, molto “alla moda”; il loro costo è medio e il rapporto qualità-prezzo è ben studiato in relazione alle aspettative della clientela a cui si rivolge.

Il lusso esclusivo è inaccessibile, ed i prodotti-beni inaccessibili divengono i veri e propri simboli del consumo ostentativo, in quanto ostentare questi oggetti significa ostentarne i significati di prestigio e di vera ricchezza.

“Il simbolo è qualsiasi elemento (segno, gesto, oggetto, animale, persona) atto a suscitare nella mente un’idea diversa ma capace di evocarla attraverso qualcuno degli aspetti che caratterizzano l’elemento stesso, che viene pertanto assunto a evocare entità astratte e di difficile espressione letteraria[3]”.


Il simbolo esprime anche l’indicibile poiché, almeno in parte, la sua interpretazione sfugge all’analisi ragionata stimolando invece nell’osservatore una pluralità di riferimenti, consci e inconsci, che rinviano al sacro, all’ideologia, ai giacimenti culturali, ai percorsi e alle vicende di una collettività o di una società umana. Il simbolo è anche segno di appartenenza a un gruppo religioso o politico, artistico o sportivo; indossato è strumento d’identificazione mediante il quale le persone possono essere riconosciute conformi a quel corpo sociale o esserne escluse. Gli stemmi, gli emblemi, ma anche la forma di un copricapo o la foggia di un ornamento possono evocare forti impulsi d’identificazione in un dato gruppo ed essere usati come punto di riferimento e di aggregazione. Questo ancora oggi, come accadeva nella società pre-moderna osservata e vissuta da Veblen.

Oggi il lusso assume, però, anche un significato diverso da quello che rappresentava fino ai decenni scorsi: non è più solo esibizione e non è solo status, ma è un lusso finalizzato ad accrescere il proprio piacere personale e non a comunicare agli altri la ricchezza e lo status sociale.
L’acquisto di un bene di lusso è dettato, sempre di più, dalla volontà di autorealizzarsi, di trattarsi bene e concedersi il meglio.

Negli anni Ottanta, il consumatore cercava nel lusso la promozione sociale e il relativo prezzo elevato comunicava agli altri di potersi permettere quel bene. Oggi la comunicazione che s’intende rivolgere agli altri, tramite il consumo del bene di lusso, è un messaggio di buon gusto e capacità di scelta. Il prezzo, nella nuova concezione di lusso, è un fattore necessario, ma non sufficiente, perché questo deve essere accompagnato dalla qualità, dall’estetica, dalla rarità e dalla cultura.

Possedere una tela prestigiosa, quotatissima, un’opera d’arte nel proprio salotto è lusso esclusivo, ostentativo; affittarla e poterla ammirare nel proprio salotto per poche settimane è lusso “democratizzato”. L'affitto di una tela prestigiosa è più di una stravaganza: è l'ultima frontiera del lusso[4].

“Grazie ad un accordo tra la Monte Carlo Art Gallery e il Circle Club, un circolo esclusivo di Milano, si può portare a casa un'opera dal valore inestimabile, certificata, scelta tra più di 200 pezzi d'arte antica, moderna e contemporanea, per un periodo che però non può superare i sei mesi. Capolavori di Dalì, Renoir, Rubens, Rotella possono fare bella mostra sulle pareti di uffici o salotti, rigorosamente “a tempo”. Un'operazione per pochi privilegiati? Il Circle Club sperimenta da tempo la formula del “lusso in affitto”: chalet di montagna, jet privati, yatch e limousine con autista, auto sportive e prestigiose. [….] Il presidente del noto club esclusivo milanese nega che l'iniziativa possa coinvolgere poche ricchissime persone: , spiega, . Il prossimo passo sarà conquistare la clientela femminile, con una proposta rivoluzionaria: gioielli in affitto. Ma almeno il diamante non dovrebbe essere per sempre[5]?”.

Per democraticizzare il lusso è spesso necessario, però, il doverlo affittare. Il possesso completo, la proprietà privata del bene oggetto di ostentazione, rimane, ancora, il lusso per eccellenza.


[1] Da una ricerca di Valdani & Vicari Associati in collaborazione con Il Sole 24 Ore e Gf Studio Marketing.

[2] Ibidem.

[3] Lenti L., Bemporad D. L. (a cura di), Gioielli in Italia: sacro e profano dall’antichità ai giorni nostri”, Ass. Orafa Valenzana, ed. Marsilio, 2001.

[4] Da La Repubblica, quotidiano di informazione. Articolo pubblicato il 1 marzo 2006.

[5] Ibidem.